I capricci dei bambini: qualche consiglio di sopravvivenza

3 Mag, 2022
silvialombardo

Pianti e urla improvvisi? Abbiamo chiesto alle esperte qual è la vera natura del capriccio e quali sono le strategie per superarli.

Dott.ssa Elisa Cittadini
Associazione Millemamme
psicologia@millemamme.org
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Quando annunci la lieta novella tutti ti guardano tra il commosso – per essere stato così coraggioso da decidere di mettere al mondo un figlio – e la pietà, perché inizierai a non dormire più, non avrai più una vita e blablabla. Ma nessuno, e ripeto nessuno, ti avvisa di quel momento chiamato terrible two o come preferisco definirlo io adolescenza precoce.

Greta è praticamente ormai un’adolescente, un momento le vengono delle isterie per un paio di scarpe o perché i pantaloni non sono quelli che vorrebbe lei e l’attimo dopo è dolce e ti riempie di baci.

Ora, mi chiedo, ma perché nessuno ci ha avvisati che a due anni i nostri figli sarebbero diventati Dottor Jekyll e Mister Hyde?

Non parliamo poi di quando torno a casa il pomeriggio e attacca la nenia (giusta per carità), quel lamentino fisso per qualsiasi cosa, che ormai è diventata la colonna sonora delle nostre serate.

Un giorno, uscita di casa di corsa per andare in ufficio, ho deciso di chiedere di nuovo aiuto alle professioniste di Millemamme per poter capire questa delicata fase di Greta e salvarmi dalla nevrosi.

La Dott.ssa Elisa Cittadini, Psicoterapeuta dello Spazio di Ascolto per la Famiglia dell’Associazione Millemamme che insieme alle colleghe Anna Romanelli ed Gaia Miletic hanno fondato e gestiscono uno spazio reale e virtuale all’interno dell’Associazione Millemamme che si occupa di sostenere le famiglie nel percorso di crescita dei propri figli, mi è venuta in soccorso.

Siamo abituati a pensare ai capricci come a comportamenti nei quali il bambino piange, urla, si butta a terra, tira calci ecc., in realtà molti bambini esprimono le loro difficoltà o frustrazioni anche attraverso la lagna con la quale tentano di ottenere o chiedere qualcosa al genitore. Spesso questo tipo di comportamenti, meno diretti, sono però in grado di provocare molta rabbia nel genitore, che si sente esasperato e impotente di fronte alle richieste del bambino.

Come possiamo reagire in maniera sana e costruttiva a questi capricci?

Di fronte a questi comportamenti è importante che il genitore provi a leggere cosa c’è dietro la richiesta del bambino perché molto spesso la lagna può essere un comportamento che anticipa la crisi vera e propria. Una prima indicazione che ci aiuta a comprendere cosa sta accadendo è la distinzione tra bisogno e desiderio. Se è vero che non tutti i desideri possono essere esauditi e ogni genitore sa quali possono essere i limiti rispetto a ciò che può essere accettabile o meno accettabile (la crescita è fatta proprio di consapevolezza rispetto a questi limiti), tutti i bisogni dei bambini devono essere ascoltati e, in qualche modo, soddisfatti.

Quando parliamo di bisogni non parliamo solo di quelli fisici, come la fame o il sonno, ma anche di quelli psicologici come il bisogno di attenzione o di contatto o di affermazione. Se riusciamo ad andare oltre la richiesta esplicita e ci sintonizziamo con quella implicita, possiamo aiutare il bambino a riconoscere ed esprimere l’emozione sottostante anche attraverso le nostre parole: “lo capisco, sei tanto dispiaciuto di non poter avere la caramella, forse in questo momento hai bisogno di un abbraccio e mamma è qui per dartelo!”

Quando nascono i primi capricci e da cosa dipendono questi atteggiamenti?

Alcuni bambini possono cominciare ad esprimere se stessi attraverso comportamenti di opposizione già verso i 13- 14 mesi, fase in cui comincia la cosiddetta nascita psicologica. Attraverso questi comportamenti che trovano la loro massima espressione nella relazione con i genitori, i bambini piccoli iniziano pian piano a capire dove finiscono loro e dove iniziano gli altri.

Intorno ai 18 mesi l’unica preoccupazione del bambino è di fare ciò che desidera e di farlo nello stesso momento in cui lo desidera, secondo quello che in psicologia è definito principio di piacere. Ed è attraverso l’agire e la possibilità di scegliere cosa vuole e cosa no che il bambino scopre cosa gli piace e cosa non gli piace: comincia a scoprire se stesso.

L’egocentrismo presente in questa fase ci fa comprendere perché sia inutile, in questi momenti dare troppe spiegazioni ad un bambino, di cosa sia giusto o sbagliato: lui non è in grado di entrare in sintonia con i bisogni dell’altro, anzi l’altro in questo momento viene vissuto dal bambino anche come un ostacolo al raggiungimento dei propri desideri. Ed è così che il bambino sperimenta, come non mai prima, l’emozione della frustrazione. Ecco l’origine dei capricci.

Esistono delle regole di comportamento che i genitori dovrebbero seguire di fronte ai capricci?

Non esistono delle regole universali che possono essere valide in generale e per tutte le situazioni, ma quando incontriamo i genitori nei nostri seminari su “I capricci: cosa rappresentano e come gestirli” (la prossima data prevista è il 17 marzo, per info scrivete a psicologia@millemamme.org) cerchiamo di analizzare insieme a loro le situazioni più critiche che ci troviamo ad affrontare con i nostri figli. La gran parte dei genitori spesso si rende conto che quando si trova dentro quelle situazioni non riesce a comprendere come agire perché quelle stesse emozioni che il bambino sperimenta sembrano contagiare anche l’adulto: confusione, rabbia, frustrazione.

L’adulto si trova ancora più in difficoltà quando i capricci si manifestano in un luogo pubblico: in quel caso subentrano anche il senso di inadeguatezza e la paura del giudizio che mandano ancora più in confusione il genitore. Ma se abbiamo la possibilità di confrontarci con altri genitori, analizzando in maniera più obiettiva la situazione ci rendiamo conto che tutti i bambini hanno questi comportamenti, proprio perché sono bambini e il fatto che un bambino non si comporti bene non vuol dire che stiamo mancando come genitori o non stiamo facendo il possibile per loro ma che, nel percorso di crescita, si tratta di comportamenti necessari per passare a nuove fasi di vita.

Già poter riconoscere serenamente questo può aiutarci a gestire quelle situazioni senza perdersi nelle emozioni e nella frustrazione del bambino, ma mantenendo comunque il controllo di ciò che accade. E sarà proprio questo ad aiutare il bambino ad uscire da quella situazione. Infatti se da una parte il bambino piccolo ha bisogno di sperimentare fin dove può spingersi, di mettere alla prova se stesso e di fare sempre ciò che desidera, dall’altra ha ancora fortemente bisogno dell’adulto per sentirsi al sicuro. Ha bisogno di sperimentare e conoscere il mondo ma anche di sapere che, durante questi suoi viaggi non si perderà ed è proprio nel momento in cui sta vivendo la frustrazione di non poter fare sempre ciò che vuole che subentra l’adulto per dargli quei confini che gli sono necessari proprio per sentirsi più al sicuro.

Come possiamo aiutare i nostri figli a fare meno capricci?

Il bambino oscilla continuamente tra il bisogno di autoaffermazione e quello di sicurezza. A volte vuole sentirsi grande, altre volte vuole sentirsi rassicurato sia dalla presenza dei propri genitori sia dalle regole che gli vengono proposte che entrano a far parte della sua routine stabile e sicura.

È per questo che sono più lamentosi o ricercano un maggior contatto quando si modificano le loro abitudini o in alcuni momenti di passaggio che, come tutti i momenti di cambiamento, sono momenti critici: uscire di casa per andare a scuola, la sera prima di mangiare, quando devono entrare o uscire dal bagnetto, quando il proprio genitore rientra a casa, nel momento dell’addormentamento o in quello del risveglio. Si tratta di momenti che noi adulti siamo abituati a gestire ma che loro possono vivere con molta difficoltà perché entrano in gioco proprio quei bisogni di sicurezza e di attenzione di cui abbiamo parlato.

In questi momenti un modo per aiutarli è sempre quello di riconoscere e dare anche solo per cinque minuti spazio al soddisfacimento di questi bisogni. Così quando torniamo a casa dopo una lunga giornata di lavoro può essere più utile, prima di fare qualsiasi altra cosa, quella di accogliere il bisogno dei bambini di contatto e attenzione: come momento di rifornimento e ricongiungimento che può prevenire tutte le possibili richieste successive che nascondono questo bisogno.

Come reagire di fronte ai “no” del bambino?

Il no dei bambini è il modo che loro hanno di avere un certo controllo sulle situazioni, di sentire che possono scegliere perché è così che possono pian piano comprendere il proprio posto nel mondo. Cosa fare allora? Può essere utile offrire, quando è possibile, una scelta al bambino: “la caramella in questo momento non te la posso dare ma se vuoi posso darti un frutto” oppure “ puoi scegliere tra queste due magliette e questi due pantaloni”, in questo modo il bambino sentirà di avere un certo controllo ma ciò che gli proponiamo come alternativa sarà sempre qualcosa di accettabile per noi. A volte anche noi genitori diamo più no di quanti vorremmo e ci accorgiamo soltanto dopo averlo fatto di aver negato qualcosa al nostro bambino quando invece potevamo rispondere con un sì condizionato: “sì, ti do la merenda dopo che avrai lavato le mani” oppure “ora devo lavare i piatti ma ho voglia anche io di stare con te, perché non mi aiuti e giochiamo al ristorante?”.

 Il time out può essere una risposta di fronte alle crisi di capricci dei bambini?

Il time out è una tecnica comportamentale a volte un po’ abusata da genitori e anche da insegnanti. Di solito prevede che il bambino rimanga da solo nella sua cameretta o in un angolo per un determinato periodo di tempo come conseguenza di un comportamento sbagliato: viene quindi proposto come punizione. Il problema di questo tipo di approccio è prima di tutto il fatto che il bambino, soprattutto se molto piccolo, non ha le capacità cognitive, emotive e psicologiche per comprendere da solo come uscire da quella situazione di crisi, né è in grado di elaborare ciò che è accaduto.

Probabilmente l’approccio più efficace è quello di pensare al time out come ad una pausa dai comportamenti poco funzionali del bambino. Quindi non come una punizione, ma come un breve periodo di tempo nel quale il bambino possa interrompere i suoi comportamenti e abbassare il livello di attivazione (che in alcuni casi diventa troppo alto con il rischio anche che il bambino possa farsi male).

In quei momenti il genitore o l’educatore possono invitare il bambino a sedersi vicini per riprendere la calma, oppure può essere utilizzato dopo un momento di crisi per rielaborare insieme ciò che è accaduto. In questo modo quel momento diventa una risorsa per il bambino per recuperare la calma dopo aver vissuto delle emozioni di rabbia e frustrazione, ma potrà farlo con l’aiuto di un adulto, restando comunque in relazione con lui. Spesso dopo una crisi può subentrare nel bambino un senso di tristezza e un bisogno di contatto, ecco che quella può essere un’occasione per poter esprimere anche il desiderio di un riavvicinamento con l’adulto.

 

Ma c’è un’altra funzione con la quale può essere utile utilizzare il time out: come aiuto per il genitore che sente di non riuscire a controllare la propria rabbia nel momento del capriccio di suo figlio. Quando ci capita di sentirci sopraffatti dalla situazione e sentiamo il bisogno di allontanarci un momento per poter recuperare noi stessi la calma. Più che dire allora: “stai seduto a riflettere per cinque minuti” potrebbe essere più utile dire: “in questo momento capisco che sei molto arrabbiato perché non puoi ottenere ciò che desideri. Anche a mamma dispiace non poterti dare quello che vorresti e sono arrabbiata per il tuo comportamento. Mamma va un momento nell’altra stanza per calmarsi e quando ti sentirai anche tu più calmo puoi venire da me”. In questo modo possiamo comunque mantenere la relazione ma allo stesso tempo prendere le distanze da una situazione che in quel momento ci fa sentire impotenti e frustrati. Usato in questo modo il time out diventa più una tecnica anti-rabbia utile per il genitore piuttosto che una lezione o una punizione per il bambino. Attenzione però: prendere le distanze non vuol dire ignorare il bambino. È importante che lui sappia che, anche se non condividete il suo comportamento non lo state lasciando da solo ad affrontare la crisi.